Tiziana Cordani

Se il teatro è dipinto L’ importanza di chiamarsi Laura Fo

 

Un garbato inizio, per un anno tutto dedicato all’arte al femminile,apre la stagione autunnale del Circolo culturale Il Triangolo di Vicolo della Stella, storico (ben a ragione, poiché Maria Rosa Ferrari Romanini ha ormai festeggiato i trent’anni di attività) luogo deputato all’arte contemporanea ed alle sue proposte. Ecco quindi che l’apertura è stata assicurata da una autrice dal nome importante, Laura Fo, che vi ha aperto la sua mostra personale intitolata Le finestre dei poeti e altre visioni. Quanto sia periglioso essere figli, o nipoti in questo caso, d’arte mi è ben noto,percorrere strade tracciate da altri o cimentarsi in territori limitrofi comporta sempre un qualche rischio di spoliazione di sé, più raramente consente una reale libertà espressiva, frutto dell’esperienza e del tempo. Potrebbe essere che simili considerazioni abbiano, in qualche misura, mosso le scelte artistiche recenti di Laura Fo, nipote del Premio Nobel Dario, attore e pittore, nonché sorella di Alessandro, noto studioso ed intellettuale, e l’abbiano in qualche modo indirizzata, all’ interno dei territori culturali … di famiglia, a ricercare uno spazio espressivo suo proprio, originalmente riconoscibile, seppur idealmente condiviso. Attrice sin dalla prima giovinezza,nel 2010 Laura Fo inizia a concepire il teatro non più come luogo per attori in carne ed ossa ma come soggetto di una ricerca squisitamente intellettuale, atta a ricreare uno spazio teatrale statico anziché dinamico, protagonista esso stesso della rappresentazione. Tali appaiono appunto i piccoli teatri ricercati in forma miniaturizzata dall’ autrice, palcoscenici ricostruiti abilmente e dipinti, che divengono luogo deputato dell’ azione scenica ma anche luogo simbolico, atto a rappresentare il legame ideale tra attore e testo, tra espressione in movimento ed ispirazione. Teatrini, dunque, che si sprono su una mise en scène immobile, cristallizzazione di un attimo fuggevole che si proietta nel tempo, così denso di significati da assurgere,a parametro assoluto, a momento topico. Di chi? Di cosa? Di un letterato, di un poeta,di un musicista,poiché sono queste le fonti colte cui Laura Fo attinge, testi del fratello Alessandro, di poeti italiani e stranieri, sovente i meno frequentati dai più, come Ripellino, Sandro Penna, il portoghese Pessoa. Altre volte così  noti, da parer, a torto, ben conosciuti, come Guido Gozzano ed Eugenio Montale, Anton Checov o donne poeta dal vissuto tragico come Anna Achmatova.

La scena, pensata, è costruita come un modellino teatrale (uso che ha nobili antenati da Leonardo, al Bibbiena, creatori di modellini sulla cui base si sono elevate vere meraviglie architettoniche) dall’artista, esula dalla funzione rappresentativa e si propone invece come una sorta di summa visibile della poetica di ciascun autore (esemplare il lavoro dedicato alla poetessa russa) ovvero come momento paradigmatico che ne condensa lo spirito ed il senso riposto, facendo appello ad un’opera specifica(è il caso del Giardino del ciliegi di fascinoso e strehleriano impianto).Come case di bambola (oh Ibsen, eccoti!) vittoriane, come miniaturizzati squarci di appartamenti aperti all’ occhio, quasi indiscreto, dell’ osservatore curioso si squadernano in un intrigante, e problematico, rapporto tra interno ed esterno,tra il dentro e il fuori simbolico che sottintende saperi e domande, indagini e ricerche interiori dialoganti tra oro. Finestre aperte, balconi e giardini si alternano a rappresentare metafore esistenziali e sunti poetici, allusive e pungenti, rimandando ad un linguaggio di volta in volta diverso: il realismo ottocentesco, il romantico verismo, l’ allure surreale… a significare un’aggiunta di conoscenza che si allarga dalla letteratura all’arte, dal teatro a una cultura più vasta e vissuta, la quale si lascia leggere soprattutto nei materiali e nelle tecniche costruttive utilizzate da Laura Fo.

La carta, i collages, la pittura si intercalano,in uno scambio di ruoli necessario a questa fascinosa riproduzione di una realtà che è, a sua volta, e per definizione, riproduzione della vita reale. In queste scatole magiche, sotto i ricchi panneggi dei velari, tra le quinte dorate, l’attimo diventa eterno, evocativo, assoluto in una sospensione temporale cui nulla toglie la miniaturizzazione delle misure.

Figure simili alle figurine ritagliate nella stanza dei giochi da bimbi inquieti, i personaggi collocati dall’artista nelle sue studiate situazioni architettoniche posseggono una misura, una icasticità remota che si nutre di ciò che al teatro, quello che ospita attori e recite, è solitamente impedito: il silenzio, armonioso e incantato silenzio entro il quale spira, senza nulla smuovere, il vento della solitudine, che è poi l’essenza stessa degli artisti e dei poeti. Chi volesse lasciarsi affascinare da questa proposta di Laura Fo può recarsi in Vicolo della Stella, presso la Galleria Il Triangolo, che ospiterà la mostra sino al prossimo 20 novembre.